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Brancaccio, storie di mafia quotidiana
di Giovanni Di Gregorio, Claudio Stassi

Intervista a Gregorio Porcaro, Vice Parroco di P. Puglisi di Daniele Biondo IV U

Copertina italiana del libro
La mafia puoi raccontarla in tanti modi. Perché ha tanti volti. Però l'unico a emergere è quello giudiziario-militare, la punta dell'iceberg. Le stragi, gli arresti, i processi, i pentiti.
Quando gli editori di Beccogiallo ci hanno proposto un libro a fumetti sulla mafia, un anno fa, avevamo chiaro in testa che volevamo raccontare altro. Volevamo raccontare l'iceberg.
La mafia vista dal basso, quella di tutti i giorni. Questa palude stagnante di illegalità, di violenza, di rassegnazione che tutto impregna. Che a Palermo assorbiamo insieme all'aria che respiriamo e all'acqua che beviamo.
Non ne parla mai nessuno, di questa mafia. Non ci sono morti ammazzati né blitz della polizia da mostrare in TV. Non fa notizia. È sotto occhi di tutti, eppure è invisibile. Per questo è la più pericolosa di tutte, per questo bisogna parlarne. Prima pagina
L'AMBIENTAZIONE. Abbiamo scelto Brancaccio, un quartiere popolare di Palermo. Né peggio né meglio di tanti altri, di Cruillas, dello Sperone o del famigerato Zen. L'abbiamo scelto perché uno di noi (Claudio) ci vive, lo conosciamo bene.
E poi Brancaccio è il quartiere di Padre Puglisi. Lui lo diceva sempre che bisognava iniziare dal basso, dai bambini, dalle scuole, dai diritti negati così a lungo da cancellarne la stessa memoria. È a Brancaccio che lottava contro la mafia quotidiana. È lì che l'hanno ucciso, tredici anni fa.
I PERSONAGGI. Abbiamo detto dal basso, no? E allora è importante che i protagonisti siano persone ordinarie, né eroi né criminali. Non hanno coinvolgimenti diretti con la mafia. Sono brava gente, con un lavoro normale, una famiglia normale, una vita normale. Per quello che significa "normale" a Brancaccio, naturalmente.
Anche graficamente non abbiamo voluto caratterizzarli troppo pesantemente. Hanno lineamenti piuttosto comuni, perché rappresentano tutti.
LA STORIA. Raccontiamo delle conseguenze che a Brancaccio hanno i gesti quotidiani, gesti a prima vista innocenti. E che invece hanno effetti drammatici. Di come gli abitanti del quartiere facciano parte di un ingranaggio di degradazione e nemmeno se ne rendano conto. Non si accorgono che vivere in quella palude, oltre a non essere affatto inevitabile, ha un prezzo. Altissimo.
Per raccontare questo non c'è bisogno di fatti eclatanti o inventati a tavolino. Gli episodi del libro sono tratti dalla cronaca e dalla nostra esperienza personale. Abbiamo solo cucito loro intorno una cornice narrativa. Ma non ci siamo inventati niente, purtroppo.
LO STILE. Abbiamo cercato di essere sobri, niente spettacolarizzazione. Non ci saranno le sparatorie e le solite che caratterizzano tutti gli altri racconti di mafia, anche perché questo non fa parte del quotidiano. Ma attenzione: non per questo si tratta di una realtà meno drammatica.
I dialoghi sono asciutti, ridotti all'osso. Anche il disegno segue queste regole: è scarno, sporco, ruvido. Racconta facce e ambienti reali senza per questo caricare né indulgere in particolari squallidi. La mezza tinta è servita a rendere la cupezza dei luoghi, il loro grigiore. Quello dei palazzi dall'intonaco scrostato e quello delle coscienze.
L'APPROFONDIMENTO.
Nei volumi di Beccogiallo c'è un'idea interessante: accompagnare il fumetto con delle sezioni di approfondimento. Abbiamo deciso di chiedere un contributo scritto a chi porta avanti a Palermo una testimonianza di legalità. Così nel libro trovate la prefazione di Rita Borsellino e gli interventi di Gregorio Porcaro (vice di Padre Puglisi a Brancaccio), Rosaria Cascio (dell'associazione "Padre Giuseppe Puglisi. Sì, ma verso dove?") ed Edoardo Zaffuto (di Addiopizzo, giovane e vivace movimento antiracket).
Claudio Stassi e Giovanni De Gregorio in videoconferenza da Barcellona
Io e Claudio è la prima volta che lavoriamo insieme. Uno di noi lavora per la Bonelli, l'altro per la Francia, tutti e due siamo di Palermo. Abbiamo voluto fare un fumetto diverso, nostro. Speriamo sia venuto bene, che comunichi la nostra rabbia e il nostro sgomento. Che sia un pugno nello stomaco. Che faccia pensare.
Durante la presentazione un ragazzo si è alzato e in tono polemico ha chiesto fino a quando durerà questa stereotipo, fino a quando parlare di Sicilia significherà parlare di mafia. La nostra risposta è semplice: fino a quando esisterà la mafia.



























































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